via Trento e Trieste, 1 - 66017 Palena (CH)
Scrittori, Storici, Sceneggiatori, ...

 

Romeo Como
[Palena (CH) 1939]

Romeo Como

Biografia
Agronomo. Ha conseguito il diploma di specializzazione in Pianificazione Economica e Sviluppo Rurale presso le sedi di Bari e di Montpellier dell'Istituto Mediterraneo di Alti Studi Agronomici.
Membro della Società di Storia Patria per la Puglia. Coautore con Mario Como Junior di "Le donne raccontano, Palena dopo l’8 settembre 1943" - Ed. Bastogi 2004; "E Raccontano ancora" - Ed. Bastogi 2005; autore del volume "Dagli erbaggi ai pannilana, Palena e la mena delle pecore" - Ed. Bastogi 2006; "Da Palena a Canosa, transumanza e solidarietà" - Ed. Pugliesi 2007; "L'anima del borgo" - Ed. Bastogi 2007; "Quando al calar che fanno... La mena delle pecore nel periodo della prima professazione 1553-1615" - Ed. Bastogi 2011 (Premio Capitanata 2012).
Dedito agli studi di Antropologia Culturale e Scienze Statistiche. Autore di pregevoli inediti: "Il canto dell'albero" e "Il mito dell'alba". Vive a Foggia.

 

Opere
2004 - "Le donne raccontano" - Ed. Bastogi**

Le donne raccontano

 

2005 - "...e raccontano ancora..." - Ed. Bastogi**

...e raccontano ancora...

 

2006 - "Dagli erbaggi ai pannilana" - Ed. Bastogi**

Dagli erbaggi ai pannilana

 

Dalla Presentazione del volume "Dagli erbaggi ai pannilana - Palena e la Mena delle Pecore" di Romeo Como:

"Pascoli montani dell'Appennino centro-meridionale e pianure alluvionali dell'Italia peninsulare furono strettamente collegati per centinaia e centinaia d'anni in una proficua simbiosi i cui effetti non si sentirono soltanto a livello economico, ma furono profondamente avvertiti anche in ambito sociale e culturale.
Attraverso quello che fu definito "l'erbal fiume silente", non transitarono soltanto gli armenti e il personale addetto alla loro cura. Prodotti, tradizioni, costumi, forme di religiosità passarono dai centri appenninici a quellli della pianura pugliese e viceversa tessendo trame più e meno fitte tra comunità a volte molto distanti.
Per ragioni le più varie (per esempio professionali, affettive, normative) non di rado tali percorsi culminarono, inoltre, in veri e propri trasferimenti di individui e/o nuclei familiari anche consistenti dai centri appenninici alle pianure pugliesi. Ciò non significò, tuttavia, una definitiva interruzione dei legami con le comunità d'origine.
A lungo si mantennero ragioni anche strettamente economiche al permanere dei legami: l'antico locato, assegnatario nel primo Ottocento di terre del Tavoliere, continuava, per esempio, nella pratica dell'allevamento transumante e tornava d'estate nella comunità d'origine, anche se d'inverno poteva risiedere nella sua terra del Tavoliere o in uno dei centri della pianura più prossimi ad essa.
Ciò sembra valere anche per l'A. di queste pagine: l'amore per la comunità da cui trae origine è stata, certamente, una molla potente per le sue ricerche. Queste gli hanno, tuttavia, consentito di superare il mero sentimento di appartenenza.
Sfruttando anche competenze derivantigli da una solida formazione tecnico-scientifica, l'A. non ha esitato ad approfondire con ricerche dirette nell'archivio della Dogana delle pecore di Puglia e in altri, quanto appreso dalla lettura dell'ampia bibliografia prodotta in materia a partire dal XVII secolo.
Il suo centro d'interesse è stato, principalmente, la comunità di Palena e quelle degli altri centri dell'Alta Valle Aventina, ma, non di rado, la documentazione rinvenuta potrebbe consentire di analizzare una realtà socio-economica, ma anche antropologico-culturale assai più vasta e, comunque, largamente rappresentativa del complesso mondo che ruotava intorno alla Dogana foggiana.
Per quanto ancora in fase di definizione, la ricerca avviata dall'A. con questo lavoro, fa sperare in ulteriori sviluppi non soltanto in un ambito prettamente scientifico. Il suo progetto complessivo, condiviso dall'Istituto che ho l'onore di dirigere, è infatti, quello di affiancare alla trascrizione e all'analisi delle fonti documentarie più significative, un'attenta opera di divulgazione che consenta tanto ai comuni cittadini del territorio oggetto di indagine, quanto a quelli provenienti da altre anche assolutamente estranee al fenomeno della transumanza centro-meridionale, di conoscere meglio l'area oggetto della ricerca e le comunità che la abitarono e la abitano cogliendone le radici più profonde anche attraverso i manufatti da esse prodotti nelle varie epoche.

Maria C. Nardella
Direttore dell'Archivio di Stato di Foggia
Soprintendente ai beni archivistici della Puglia

 

Da "Carte di Puglia" rivista di Letteratura Storia e Arte - Ed. del Rosone, n. 17 - 2007:
Nella sezione "Scaffale di Puglia", pag. 68, si legge l'autorevole recensione del dottor Pasquale di Cicco, già direttore dell'Archivio di Stato di Foggia, autore di numerosissimi lavori, punto di riferimento bibliografico certo nello studio del fenomeno della transumanza.

"...Per secoli Palena, così come altre comunità dell’Alta Valle Aventina in Abruzzo, esercitò la pratica della pastorizia transumante nel Tavoliere di Puglia, regolata, a partire dal periodo ara­gonese, dalla Dogana delle Pecore di Foggia, ed anno dopo anno le sue morre trovarono, durante i difficili mesi dell’inverno, in quegli erbaggi fiscali il proprio sostentamento.
La periodica migrazione degli animali dai pascoli estivi della Majella, della Valle Peligna e da altri ancora riguardava diverse migliaia di capi, solitamente raggruppati in collettive, i quali, immettendosi sui regi tratturi (il Centurelle-Montesecco, l’Aquila-Foggia, il Celano-Foggia, o altri a seconda dei luoghi di provenienza) e con percorsi quotidiani di una decina di chilometri, si muo­vevano verso i passi, i riposi e le locazioni loro assegnati.
I locati dell’Alta Valle Aventina attraversavano il passo di Guglionisi e Civitate e quello di Melfi e Spinazzola, nei riposi generali del Saccione e delle Murge e, dopo il ripartimento dei pa­scoli del Tavoliere, occupavano le poste delle locazioni di Canosa, Trinità, di Arignano, e qui le loro greggi svernavano.
Alla fine dell’anno pastorale la lana prodotta dalle pecore palenesi – molte delle quali di pro­prietà delle Cappelle di Santa Maria della Fraternità, di Santa Maria della Neve, del SS. Sacra­mento  e di San Rocco) – veniva infondacata dalla paranza di Sulmona e garantiva il pagamento del debito con il fisco per l’uso degli erbaggi, mentre le greggi prendevano la via del ritorno ai luo­ghi di origine. Parte di questa lana era destinata ad alimentare l’industria della tessitura, da tempo antico diffusa a Palena.
Tutti questi sintetici accenni, assieme a molte altre interessanti notizie, ricevono ampio ed esauriente svolgimento nello studio del Como, pregevole tra l’altro per la chiarezza espositiva  con cui vi si illustra il complicato congegno della Dogana delle pecore, caratteristico persino nel suo lessico, insolito e spesso astruso.
Ed invero, l’aurore, mediante una attenta ed approfondita indagine, ha procurato solidissime fondamenta, bibliografiche ed archivistiche, al suo lavoro, tenendo conto di tutti i maggiori stu­diosi dell’istituzione doganale (dai classici Coda, Gaudiani, Grana, Di Stefano, De Dominicis ai moderni Caruso, Musto, Colapietra, Gabba, Pasquinucci, Marino) e delle pertinenti serie docu­mentali presenti nell’Archivio di Stato di Foggia.
Ha inoltre consultato l’Archivio Prevostale di San Sabino di Canosa, sfogliandovi con qualche emozione il Libro dei Morti degli anni 1643-1686, nelle cui pagine compaiono i nomi dei palenesi “ammazzati dall’uomo e dalla Natura”.
Questo impegnato lavoro, diviso in tre parti (Palena e la transumanza: il contesto storico; La Dogana della Mena delle pecore: nascita e declino. Dagli Aragonesi ai Borboni; Seguendo pastori, gargari e quatrali), scritto “nel tempo reale di una transumanza”, a cui fa da chiusa una pagina poetica dello stesso autore, precede alcuni altri di futura edizione, anch’essi relativi alla pastorizia di Palena ed anch’essi basati su inedite fonti d’Archivio."

Pasquale Di Cicco

 

Da "Sudest" rivista mensile n. 20 - 2007
Lo Spoglio
Appunti di lettura sulla Capitanata tra libri, ricerche e giornali
a cura del critico letterario Gaetano Cristino

"...Dagli Erbaggi ai Pannilana" di Romeo Como.

Palena è un piccolo comune mon­tano della provincia di Chieti il cui territorio occupa la parte più elevata della Valle Peligna.
Per secoli la sua comunità ha esercitato la pratica della pastorizia transu­mante instau­rando stretti rapporti con la gente del Tavoliere.
I due ambienti, quello appenninico abruzzese e quello del Tavoliere, hanno avuto relazioni di interdipen­denza che indubbiamen­te hanno consentito un sistema di flussi e di contaminazioni cultu­rali che ha arric­chito le comunità inte­ressate, con reciproci passaggi di usi, costumi, connotazioni linguistiche, devozioni reli­giose.
Stu­diando con fonti archivistiche di prima mano, conservate sia nel­l’Archivio di Sta­to di Foggia che nell’archivio della Cattedrale di Canosa, i rapporti tra i locati di Palena (cui veniva asse­gnata per il pascolo la locazione di Canosa, appunto) e la Dogana della Mena delle Pecore, Romeo Como (Dagli erbaggi ai panni­lana. Palena e la Mena delle Pecore) ha intrapreso una strada del tutto nuova per la conoscenza del fe­nomeno complesso della transu­manza, quella, cioè, di prendere ad oggetto una ben precisa comunità, per se­guirne le vicende, quasi anno dopo anno, dalla partenza, nel mese di settembre, al ritorno ai pa­scoli estivi, dopo aver tosato le pe­core e avviati i prodotti alla Fiera di Foggia.
Uno studio scientifico, qua e là intervallato da con­siderazioni liriche dell’autore, indignato per il progres­sivo tra­sformarsi dell'erto fiume silente in demaniale relitto, che ha anche il pregio di fornirci una sintetica sto­ria della Transumanza e della Do­gana della Mena delle Pe­core dagli Aragonesi ai Borboni edi aprirci uno squar­cio di conoscenza in quella che era la difficile etriste vita dei pastori (la morìa non riguar­dava solo le pecore) e la complessa ge­stione delle aziende pastorali."

Gaetano Cristino

 

"L'uomo del tratturo" di Giovanni Battista Elia:
Intervento del critico letterario Giovanni Battista Elia in occasione della presentazione del volume "Dagli Erbaggi ai Pannilana" nel Teatro Comunale "E. M. Margadonna" di Palena, il 10 agosto 2006:

"...Mi sono accorto che, mettendo insieme gli interventi e le pre­sentazioni ai libri da me effettuati in questo teatro negli ultimi anni, intravedo le linee di quello che potrebbe es­sere il libro sulla mia terra, il libro che vorrei leggere e che purtroppo si va for­mando non sul piano della concretezza ma su quello ideale.
In tutti i casi, infatti, pongo l’accento sulla inafferrabilità del passato inteso come fan­tasma di cui rinveniamo fragili resti mate­riali. I libri sono depositi di tali resti, effetti materiali come gli ar­nesi del museo delle tradizioni.
Allineandomi ad una lunga tradizione di definizioni antropolo­giche, quali l’uomo della caverna, l’uomo della prateria, l’uomo di Aran – titolo di uno dei film più belli che io ab­bia visto - ho voluto chiamare l’uomo del tratturo il fantasma che si va rincorrendo at­tra­verso questo libro di Romeo Como.
Raccogliendo i pochi segni che quest’uomo ci ha lasciato, vor­remmo addentrarci in una sorta di archeologia dello spirito, disci­plina che ci vuole in totale ascolto della nostra na­tura, delle mon­ta­gne e delle valli, delle pianure, per recuperare il genius loci, ciò che più intimamente ci distingue come stirpe dei pascoli.
Nella prefazione provo a immaginare che i presupposti da cui scaturirebbe la sensibi­lità di quest’uomo siano la viandanza (in uno spazio aperto, tra l’Appennino e il Tavo­liere, ma anche chiuso, limitato entro i sentieri erbosi), il silenzio umano, l’ascolto della natura, la malinconia e la lontananza costante di chi ha due pa­trie, la residenza estiva e quella invernale. L’uomo del trat­turo la­scia sempre qualcuno, sull’esperienza doppia della perdita e del ri­trovamento, mai identico, dei luoghi e delle persone fonda la pro­pria visione del mondo. Il suo non è il tempo lineare del mercante ma neppure quello ciclico del contadino, il suo tempo è fatto di du­rata e di attesa. Si la­scia abitare attraverso la metamorfosi mille­naria del fiume d’erba. Laddove il contadino e l’inurbato percepi­vano lo spazio come luogo circoscritto entro le mura cittadine, oltre le quali in­combeva la natura, l’incoercibile, l’uomo del tratturo sa­peva uno spazio altro capace di abbrac­ciare la diver­sità, l’alternativa, e di rielaborarla in una visione più ampia ed orga­nica del mondo. Que­sto uomo sapeva di più degli stanziali, cono­sceva un paesaggio diverso e più complesso, sa­peva più linguaggi, guardava all’artigiano e al mercante dentro le mura come a fratelli minori, mentre quelli lo vedevano partire per un ignoto affasci­nante con tutti i suoi se­greti e i suoi rac­conti.
L’uomo che attraversa molti ponti è esperto delle genti, attra­verso il passaggio compie un pic­colo rito di iniziazione ad una pic­cola novità, l’esperienza del passare è rito divino e non a caso il sa­cerdote romano era il pontifex, custodiva l’arte del mettere in rela­zione e in comunicazione il noto con ciò che non lo è ancora. È proprio in questa minima espe­rienza che la percezione si arric­chi­sce, poiché si abitua a trovarsi di continuo di fronte al nuovo. Lo spazio diventa aperto e l’uomo si abitua all’aperto come condizione esisten­ziale. Nel sistema doganale i ponti e i passi costitui­vano punti nevralgici e strategici del sistema grazie ai quali, attraverso il pagamento del pedaggio e la registrazione, si misu­rava, e si la­sciava alla storia, lo stato fisico ed economico del sistema stesso. I ponti hanno dunque una grande memoria e a tal proposito vi leggo un solo esempio di cosa hanno da raccontarci i ponti di Palena in un foglio d’archivio del 1740 in cui un certo no­taio Mascetta elenca una serie di nomi di uomini provenienti da vari paesi abruzzesi,

li quali sponte, non inducti, sed omni meliori modo et via, asseriscono e di­chiarano avanti di noi, come essendono prattici in questa Terra di Palena, dove più e di­verse volte vi sono stati, come di presente si ri­trovano per i di loro propri affari, sanno benissimo che l’Università di detta terra porta il peso di tre ponti, per dove devono passare tutti i passeggieri con qualsivoglia sorte di ani­mali e signa­ter tutti quelli dei Lo­cati; et cioè, un ponte nella cntrada sotto la pietrata di S. Rocco fatto a travi e pietrata, sopra, il quale sta cadente; un al­tro di pie­tra fatto ad arco nel luogo detto Ponte Serricone, quale minaccia ruina, e ci vuole molta spesa per accomodarlo; et un altro detto il Ponte Grande sotto il quale passa il fiume Aven­tino, l’acqua del medesimo batte alle mura della porta di detta Terra chiamata la porta del Ponte e questo fatto con travi a cavalli sotto, e pietrata sopra lungo canne circa quattro, e sta in tutto cadente per la rifa­zione del quale giudicano vi voglia della molta spesa e in detta porta del Ponte hanno veduto ancora starvi la pandetta dei diritti che deveno pagarsi per il passo ivi stabi­lito; e sanno an­cora,che detti passeggeri et animali de Lo­cati devono passare per il mezzo della pubblica piazza e terra con grave inco­modo, ed inte­resse di detta Università, e tutto ciò lo sanno de causa scienzia perché l’anno ben veduti et os­ser­vati che per essere tutto ciò la pura e nuda ve­rità, ne hanno giurato in forma […]. Et in fidem requisitus signavi. Laus Deo

Una percezione diversa del paesaggio attraverso il movimento crea una diversa vi­sione del mondo, e questa dovrebbe portare ad un’arte diversa, ad una sensibilità alter­nativa che è la faccia na­scosta della nostra cultura. Quest’arte è rimasta nella mente e nell’oralità di quegli uomini, non si è manifestata, e il coro estinto dei pastori ha affidato al vento quanto di più prezioso posse­deva. Ma quei resti ci possono aiutare nella ricom­posizione della visione. Romeo conclude il libro stigmatizzando con un verso il declino de “l’erbal fiume silente, poi regio tratturo, or demaniale relitto”.
Noi moderni siamo tutti mercanti ma anche archeologi, sappiamo che tutto possiamo vendere ma non la nostra identità, l’anima. Ogni progetto volto al recupero delle nostre culture è giusto che abbia adeguato spazio in una società civile qual è la nostra, che per que­sto si occupa con cura dei relitti, perché possa progettare il nuovo, concepire dei sogni da realizzare."

 

2007 - "Da Palena a Canosa: transumanza e solidarietà" - Ed. Bastogi**

Da Palena a Canosa: transumanza e solidarietà

 

Dal volume "Da Palena a Canosa: transumanza e solidarietà" di Romeo Como:

"...Ci è difficile parlare di transumanza e di pastori e non ricordare la lirica dannunziana piena di calore, di luce, di sole, di sfumature sottili e malinconiche. Una lirica piena di nostalgia per un mondo giovanile ormai lontano e perduto.
L'occhio del poeta vede la secolare transumanza dei pastori dell'Italia Centrale verso le Puglie in modo idilliaco, poeticamente. Pur tuttavia nelle sue considerazioni coglie alcuni aspetti di un naturalismo tutto umano, privo di lirismi.
Il settembre rappresenta una data precisa nel calendario delle attività umane.
Per i pastori è il mese durante il quale iniziare la transumanza, che li terrà lontani dalle loro case fino a privavera. Devono lasciare la famiglia, la casa, il paese d'origine forse simboleggiato dall'acqua che bevono illudendosi di ricordarne il sapore a lungo anche nello siticulosa Apulia, accompagnandosi con i bastoni di avellano, nuovi, con la speranza che durino tutto l'inverno.
Una fiumana di pecore lungo tratturi, antichissimi e larghi come fiumare, che sembrano verdi fiumi silenziosi o "Le lunghe vie erbose" come le definì nel suo bel libro Italo Palasciano.
Un poeta del passato ha narrato questa plurisecolare migrazione di uomini ed animali dai pascoli estivi a quelli invernali, lasciandoci dei versi meravigliosi.
Uno studioso di oggi, lettore attento di documenti d'archivio, in questo suo saggio ci racconta la stessa storia. La usa non è una versione poetica della transumanza, ma la storia di vite fatte di sacrificio, fatiche, notti all'addiaccio e faticosi transiti di centinaia di animali lungo percorsi dove non sempre questi transiti erano ben accolti. Il dott. Como descrive puntualmente la capillare organizzazione di queste migrazioni stagionali di andata al piano in autunno e successivo ritorno alle montagne in primavera.
Ognuno ha un suo ruolo dal più anziano dei pastori con molta pratica fino al più giovane magari alla sua prima esperienza migratoria che affronta con spirito di avventura. Deve imparare tutto ed incomincia dalla cura dei cani da pastore, quei cani intelligenti ed esperti nel tenere insieme le greggi, indispensabili sia ai pastori stanziali che ai transumanti.
Alla lettura poetica e a quella sociale del Palasciano sul fenomeno della transumanza il dott. Como aggiunge una parte nuova e molto interessante, quella finale della vita faticosissima di questi pastori: la loro morte. Da qui il titolo transumanza e solidarietà, la solidarietà del suffragio.
Studiando l'archivio della confraternita dei Raccomandati di Canosa, nei suoi registri dei morti il dott. Como ha trovato numerosi cognomi molisani e del suo paese d'origine, Polena sul Sangro nell'Alta Valle Aventina.
La scoperta è di notevole importanza perchè consente, in un certo periodo ed in un certo luogo, di correggere l'opinione comune riguardo all'attività di suffragio delle confraternite. Un'attività che risulterebbe riservata solamente ai confratelli e alle consorelle, come da statuto.
Nel caso di Canosa la pietas per i defunti si allarga anche ai forestieri poveri.
E' questo un aspetto particolarmente importante da due punti di vista, quello della transumanza in sè e quello del suffragio confraternale. Nel primo caso evidenzia come molti di questi pastori transumanti stagionali a causa della vita stentata che conducevano, delle condizioni igieniche in cui vivevano, aggiunte ad una sicura emarginazione che non poteva non influire psicologicamente, morissero a Canosa.
Non avendo famiglia ed essendo poveri era riservata loro la fossa comune.
Ecco allora l'importanza delle confraternite e della loro solidarietà in vita e in morte.
Attraverso la documentazione studiata dal dottor Como abbiamo una smentita di quanto pensavamo: l'appendice documentaria è testimonianza preziosa.
La confraternita di S. Maria dei Raccomandati di Canosa continuando l'antichissima attività dei collegia funeraria romani provvede al seppellimento dei pastori molisani e abruzzesi morti nel suo agro.
La pietas funeraria si allarga offrendo sepoltura e preghiere di suffragio anche ai forestieri poveri, a quei pastori transumanti che nessuno conosceva.
Questa documentazione è preziosa perchè consente di valutare lo spessore dell'attività di suffragio svolto dalle confraternite. Una attività di primaria importanza per secoli e di recente molto sottovalutata, grazie soprattutto all'ultimo Concordato del 1984-85.
L'apertura fraterna della confraternita canosina verso i pastori defunti "stranieri" potrebbe essere un utile messaggio di solidarietà verso i tanti forestieri del mondo d'oggi che migrano in Italia. Muoiono qui e, come nel caso di Organova; solo la pietas offre loro una tomba.
Dobbiamo ringraziare il dott. Como per averci fornito con le sue ricerche un ulteriore tassello di storia della transumanza e della solidarietà tra poveri nel momento drammatico della morte in solitudine".

Liana Bertoldi Lenoci
Presidente del Centro Studi Storici e Socio-Religiosi in Puglia, già docente all'università degli studi di Bari e di Trieste-Gorizia

 

2007 - "L'anima del borgo" - Ed. Bastogi**

L'anima del borgo

Dalla lettera di Nicola Muscente:

"Milano, 22 marzo 2008

Caro Romeo,
durante il mio lungo soggiorno invernale a Palena mi han fatto compagnia alcuni libri, fra i quali il tuo ultimo “L’anima del borgo”. Titolo bellissimo, piacevole il testo.
Nelle solitarie passeggiate per le nostre vie, spesso mi rifugiavo nei ricordi giovanili e mi sembrava di rivedere uno per uno i personaggi che fai rivivere nel libro: gli artigiani del “Borgo”, amici dei nostri padri, ai quali, da ragazzi, guardavamo con ammirazione e rispetto.
Mi soffermavo a guardare i luoghi dove si trovavano le loro fucine e le loro botteghe e mi sembrava di riascoltare i suoni e gli odori da esse provenienti: ritmati colpi di martello sull’incudine, l’acre odore del carbone ardente, il friggìo di unghie equine, il fresco odore del legno piallato…
Quando poi mi spingevo oltre i cipressi dell’”ultima dimora”, fino alla “Candenèire”, mi sembrava di riascoltare colpi di mazzuole e rivedere le facce impolverate e arse dal sole dei nostri scalpellini, intenti a dar forma geometrica alle nostre bianche pietre.
Suoni e odori dell’opera dei nostri artigiani, diligenti “accuditori” ai bisogni degli abitanti del “Borgo” e della campagna; gente onesta e dignitosa, che sapeva assaporare la gioia dell’amicizia e del buon bicchiere di vino; che sapeva stare nel posto giusto, in quell’”aurea mediocritas” tanto cara ad Orazio, di cui, forse non a caso, citi il bellissimo verso:
…arreptaque manu: “Quid agis, dulcissime rerum?”.
(stupenda l’”ablativa” stretta di mano, resa ancora più vigorosa dall’enclitica “que”).

Questo tuo libro, (come del resto i primi due) oltre ad avere il pregio di raccontare ai giovani la vita, i mestieri e la poesia della nostra gente, è utile anche dal punto di vista filologico. Pur essendo scritto in un elegante italiano, è “infarcito” di numerosi vocaboli, frasi e modo di dire dialettali, quasi volessi farne dono ai giovani, non volendo rassegnarti alla scomparsa della lingua dei nostri padri.
Il dialetto, infatti, è patrimonio culturale di una comunità e va dunque preservato; invece noto che oggi a Palena non ha più una radice fortemente localistica, ma si sfrangia in una Koinè – come direbbe il linguista – molto vicina alla cantilenante “parlata” dei centri più importanti della zona, dove, soprattutto i giovani e sempre più frequentemente, si recano per lavoro, studio o svago.
E pensare che nel nostro dialetto ci sono parole che sopravvivono da oltre duemila anni, provenienti direttamente dal greco e dal latino.
Adesso quasi ci si vergogna a chiamare il prezzemolo “petresilene”; eppure i latini lo chiamavano proprio così: “petroselinum”.
“La putuéiche”(bottega) viene dal greco “apothèke”, locale a piano terra adibito a deposito o negozio. Ancora oggi in Germania sta ad indicare farmacia.
I nostri contadini chiamavano la cavalla “jumuènde”: oltre duemila anni fa Livio scriveva:”…is qui iumenta agebat”, parlando di un cocchiere.
Ricordo che quando ero piccolo alcuni vecchi della mia Contrada chiamavano “sarcéine” il carico di legna sull’asino: proprio come i latini:”sarcina-ae”.

La terza parte del libro, “il canto dell’albero” è più impegnativa e non accessibile a tutti.
Mi sembra di avvertire nelle sette pregevoli composizioni non solo un abbandono al sogno, ai ricordi, alla immaginazione, ma anche l’immersione a profonde riflessioni filosofiche; il tutto mediato dalla poesia di un “Sognatore”, penso in omaggio – come del resto lascia intuire Gianni Elia nella bella presentazione – a quella “poetica della reverie” dell’amato Bachelard.

Cordiali saluti
Nicola Muscente"

 

2012 - Quando al calar che fanno... La mena delle pecore nel periodo della prima professazione 1553-1615 - Ed. Bastogi**

Quando al calar che fanno... La mena delle pecore nel periodo della prima professazione 1553-1615

**Volume consultabile nella biblioteca del Museo, opportunamente allestita.

 

Fonti
"Le donne raccontano" - Romeo Como**

"...e raccontano ancora..." - Romeo Como
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"Dagli erbaggi ai pannilana - Palena e la Mena delle Pecore" - Romeo Como
**

"Da Palena a Canosa: transumanza e solidarietà" - Romeo Como
**

"L'anima del borgo" - Romeo Como
**

**Volume consultabile nella biblioteca del Museo, opportunamente allestita.

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